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GERMANIA – A prima vista le immagini esposte nella personale “Inside Out” di Susanne Wollowski, artista tedesca classe 1974, sembrano fotografie ispirate al modello estetico dei ritratti rinascimentali in cui il soggetto è sempre una giovane donna (l’artista stessa) che posa di fronte all’obiettivo elegante e composta, vestita da capo a piedi con indumenti chiari e visibilmente soffici. Il candore della sua pelle, dei vestiti e degli altri accessori (scialle, cuffiette e simpatiche babbucce) contrasta con lo sfondo nero pece, conferendo alla foto un forte impatto estetico. Difficile a dirsi se la fanciulla in questione sia spuntata da un dipinto del Settecento, da un libro di fatine e folletti o da una patinata rivista di design; ciò che conta in ogni modo è che l’approccio con l’opera dell’artista berlinese d’azione non può limitarsi alla semplice contemplazione della pur ben riuscita composizione. Basta avvicinarsi (fisicamente) un po’ di più al lavoro per capire che dietro all’armonia e all’equilibrio perfetto delle sue foto si “nasconde”, sapientemente camuffato, un materiale inconsueto ed inatteso: quel presunto panno immacolato in cui è avviluppata la giovane donna altro non è che trippa o, per dirlo con la lingua dell’artista, Pansen.
E così attraverso fasi alterne in cui la Wollowski si trasforma di volta in designer, sarta, direttrice della fotografia e performer si arriva al risultato finale: un’opera che giocando sul contrasto tra essere e apparire, tra interno ed esterno, tra forma e materia, fa dell’ambiguità e dell’ambivalenza il suo punto di forza e di originalità. Se l’uso della trippa, materiale organico spesso associato nell’immaginario collettivo ad un senso di disgusto e di repulsione, rappresenti l’elemento di disturbo nell’opera della Wollowski o il valore aggiunto capace di rendere la sua opera originale ed unica sarà lo spettatore, a seconda della sua sensibilità individuale, a deciderlo.
Intervista a Susanne Wollowski
“Il materiale da te adoperato è sicuramente un aspetto peculiare e originalissimo del tuo lavoro. Qualcuno ha fatto un parallelismo tra i tuoi Pansen e l’uso del grasso nelle istallazioni di Joseph Beuys. Dietro la scelta di Beuys c’è un aneddoto preciso che lo avrebbe portato all’uso di quel materiale. Nel tuo caso dove e come è avvenuto l’incontro con la trippa?”
“Il primo contatto con questo materiale risale a qualche anno fa durante un soggiorno a Barcellona. Mi trovavo al mercato e sin dal primo momento in cui il mio sguardo ci si è posato sopra, la trippa, proprio per la difficoltà immediata che si ha nel classificarla come materiale, mi ha affascinato. In mezzo agli altri pezzi di carne sanguinolenta e dall’aspetto ripugnante la trippa, con la sua struttura insolita ed il colore bianco abbagliante, sembrava provenire da un altro mondo. È l’ambivalenza insita in questo materiale che più mi affascina e lo rende per me unico: è il contrasto tra l’essere una materia organica dall’odore forte e sgradevole ed avere però un aspetto pulito, bello, raffinato.”
“Il tuo lavoro implica un processo lungo e laborioso dove confluiscono elementi diversi come artigianato, design e l’atto performativo. Quanto impieghi a creare una tua opera e quali sono le fasi principali?”
“All’inizio di ogni mio lavoro c’è il concetto grafico, l’elaborazione della composizione e lo schizzo del vestito. Poi segue la cucitura del vestito. Questa fase deve avvenire all’insegna della massima velocità per via della facile e rapida alterabilità della trippa. Il materiale viene quindi lavorato in diverse sedute ed in tempi diversi, e ogni volta deve essere ricongelato. Il passo successivo è parlare con il fotografo del tipo di composizione che voglio ottenere. Infine indosso i vestiti, mi siedo davanti alla camera ed entro in scena. Di solito a lavoro terminato il materiale si presenta già lievemente deteriorato ed è necessario quindi sottoporlo a trattamento per recuperarlo.”
“Come mai la scelta di immortalare un lavoro così lungo e complesso in uno scatto fotografico e di non ricorrere ad altri mezzi espressivi più processuali, come il video o la performance?”
“Ho scelto la fotografia come prodotto finale perché voglio evitare l’effetto shock che un contatto diretto con questo materiale, per via del suo odore forte o del suo effetto sgradevole, potrebbe causare. Con questo mezzo mi è possibile creare una composizione perfetta, la cui natura doppia e ambivalente emerge e si rivela allo spettatore solo in un secondo momento.”
“La fanciulla quasi angelicata dei tuoi ritratti non sembra avere molto in comune con la donna contemporanea veloce, stressata, molto pratica e poco eterea. La scelta di eludere il presente e di rifarti al passato, in particolare al gusto estetico del Rinascimento, è una presa di posizione contro il presente o una scelta di natura estetica?”
“Ho scelto il Rinascimento perché è in questo periodo che per la prima volta il cittadino diventa soggetto principale del ritratto. In questo periodo, soprattutto nella pittura fiamminga, si voleva mostrare, attraverso una rappresentazione precisa, pulita e non imbellettata del volto, l’anima del soggetto ritratto. Gli occhi in questo senso erano la parte più importante. Non voglio in ogni modo incasellare i miei lavori in un preciso momento storico e vedo la donna dei miei ritratti in qualche modo avulsa dalla vita di tutti i giorni o da un preciso contesto sociale. Ciò che m’interessa metterne in evidenza è lo stato d’animo, la personalità e l’aspetto interiore in sé.”
“Come reagisce il pubblico ai tuoi lavori. Hai qualche aneddoto in proposito da raccontare?”
“Da quanto mi è stato riportato dalla mia gallerista Henrike Höhn, ci sono state anche reazioni piuttosto estreme da parte del pubblico. Ad esempio alcuni clienti e frequentatori abituali della galleria si sono rifiutati di entrare per visitare la mia mostra ed erano inorriditi dai lavori con la trippa. Le reazioni comunque in generale sono diverse e molteplici e in questo senso il background culturale del pubblico ha una grande influenza. Ad esempio durante l’Arte Fiera a Bologna non c’è stata nessuna reazione di terrore da contatto con le mie opere.”
“Come gli azionisti viennesi degli anni sessanta/settanta lavori con le budella, le interiora, le parti disgustose e nascoste che normalmente nessuno vuole vedere. A differenza degli azionisti però, che si abbandonavo alle azioni più estreme e splatter, tu trasformi la trippa in qualcosa di bello, pulito, soffice. Si può parlare di una sorta di denaturalizzazione del materiale?”
“Penso che alla base dei miei lavori ci sia un atto molto estremo che è il trasformare le parti interne di un essere vivente nella mia propria seconda pelle o abito protettivo. Il superamento dell’estraneità con il materiale avviene nel momento della lavorazione. È in questa fase che mi approprio del materiale e familiarizzo con esso. Nonostante questa appropriazione rimane comunque un senso di estraneità e di insicurezza. Anche se nei miei lavori alla fine sono la bellezza e la pulizia del materiale a prevalere, mantengo l’aspetto animalesco ed organico.”
L’intervista a Susanne Wollowski e l’articolo “Inside Out”, a cura di Elena Basteri, sono apparsi sul sito tedesco di cultura contemporanea StylesReportBerlin.com ed il testo è stato qui ripubblicato parzialmente e leggermente rielaborato sotto licenza Creative Commons.
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Come ricorda Leo Codacci nella prefazione al volume originale, in “Troppa Trippa” Indro Neri ha proposto “uno studio, una ricerca accurata, un atto di amore che esaltano la stessa storia tenuta in vita a Firenze dai ventisette trippai” ed il volume, che era di quasi duecento pagine ma viene ora ripubblicato in agili Quaderni, “è anche far poesia di quella vera… particolarmente per la trippa”. In questa deliziosa ricerca, che aveva impegnato l’autore per tre lunghi anni, era contenuta la storia dei trippai dall’antichità ad oggi, le ricette toscane sulla trippa, quelle regionali da tutta Italia e quelle caratteristiche di ogni nazione oltre ad indicazioni culinarie ripescate da antichi manoscritti o grazie alla tradizione popolare; e ancora curiosità sulla trippa, notizie sulle confraternite italiane e straniere per la promozione della trippa nel mondo, la trippa nella poesia, nella letteratura e nei fumetti, modi di dire e proverbi sulla trippa e molto altro ancora. Tutti questi contenuti – rivisti ed ampliati da nuove ricerche – vengono ora raccolti periodicamente nella collana dei Quaderni di TroppaTrippa.com, pubblicazioni tematiche per la gioia di chi ama la trippa anche se è troppa.
Fiorentino, editore, scrittore e giornalista, dal 1997 Indro Neri si occupa di trippa, collabora regolarmente a riviste, siti Internet e blog, ed ha al suo attivo numerosi libri. Appassionato di viaggi e di storia della gastronomia italiana e straniera, è stato ospite di Rai Uno e Rete 4 in veste di esperto di trippa nel mondo ed è tuttora regolarmente invitato a presenziare fiere, concorsi ed eventi gastronomici sul quinto quarto. Uno dei fondatori della Accademia della Trippa nel 2008, nel 2019 è stato insignito del titolo di Commendatore d’Onore della Confraternita d’la Tripa di Moncalieri e dal 2023 fa parte della North American Tripe Association. Indro è sempre disponibile per collaborazioni, interventi e presentazioni sulle mille curiosità legate al tema della trippa.
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