12 Maggio 2018

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Il nuovo quaderno

La trippa nella cucina futurista

Il concetto di cucina futurista nacque nel 1931 a seguito della stesura di un manifesto da parte di Filippo Tommaso Marinetti, poeta, scrittore e drammaturgo italiano ma soprattutto fondatore del movimento futurista, la prima avanguardia storica del Novecento. Oltre all’abolizione della pastasciutta, rea di sviluppare in chi se ne ciba “fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”, il manifesto di Marinetti predicava tra le altre cose l’eliminazione di forchette e coltelli, di condimenti tradizionali e della politica a tavola, auspicava la creazione di “bocconi simultaneisti e cangianti”, di onde radio nutrienti, invitava i chimici ad inventare nuovi sapori ed incoraggiava l’accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi in vista di un rinnovamento totale del sistema alimentare italiano “da rendere al più presto adatto alle necessità dei nuovi sforzi eroici e dinamici imposti dalla razza”.

“La cucina futurista sarà liberata dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi principi, l’abolizione della pastasciutta. La pastasciutta, per quanto gradita al palato, è una vivanda passatista perché appesantisce, abbrutisce, illude sulla sua capacità nutritiva, rende scettici, lenti, pessimisti. È d’altra parte patriottico favorire in sostituzione il riso.”

Al lancio del manifesto seguì una folta serie di conferenze e banchetti futuristi, anche all’estero, l’inaugurazione della Taverna Santopalato a Torino e, nel 1932, la pubblicazione del libro “La cucina futurista” di Marinetti e Fillia. In questo volume storico vengono riportate preparazioni culinarie che, piuttosto che mirare a risultati effettivamente commestibili, esaltano invece l’abbinamento di colori e suggestioni esotiche o la forma più che la sostanza. Fra queste il “carneplastico”, il piatto più noto della cucina del Futurismo, che consiste in un cilindro di carne di vitello ripieno di verdure, poggiato su tre polpette di pollo ed un anello di salsiccia, e coronato da uno strato di miele; ma non manca una citazione en passant anche per la trippa.

Fra i pranzi perfetti auspicati da Marinetti, che esigono “un’armonia originale della tavola (cristalleria vasellame addobbo) coi sapori e colori delle vivande” e, come accennato, l’originalità assoluta delle preparazioni gastronomiche, non manca infatti un “Pranzo di scapolo” nel quale viene proposta la “Vivanda-ritratto dell’amico bruno” (gote ben modellate di pasta frolla, baffi e capelli di cioccolato, grandi cornee di lattemiele, pupille di liquirizia, una melagrana spaccata per bocca; bene incravattato di trippa in brodo) da consumarsi in una sala “decorata con aeropitture e aerosculture dei futuristi Tato, Benedetta, Dottori e Mino Rosso, sopra una tavola le cui quattro gambe saranno costituite da fisarmoniche” e presentate “in tinnuli piatti orlati di campanelli” per evitare i difetti che distinguono i pranzi da scapoli, nella fattispecie quel silenzio “carico di pensiero meditante che ammorba e impiomba le vivande”.

Se l’abbinamento di trippa e liquirizia può far storcere il naso, ai futuristi va riconosciuto il merito di aver innalzato il valore della gastronomia a quello della letteratura e delle arti figurative, lasciando comunque un segno nella storia del costume che è andato al di là delle stravaganze d’artista di questa nouvelle cousine imperniata sul mito della velocità.

© Aerostato / TroppaTrippa.com

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